La malpractice sanitaria si verifica nel momento in cui un soggetto che eroga un servizio in ambito medico provoca lesioni o la morte del paziente, a causa del mancato rispetto delle linee guida per l’assistenza specializzata. Nella nostra attività medico legale sovente veniamo a conoscenza di situazioni simili.
Citiamo il caso di una donna di 60 anni, già portatrice di protesi di anca destra, che a causa di una coxartrosi si vide costretta a sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico di artroprotesi totale dell’anca questa volta a sinistra, nonostante la regolare morfologia della testa femorale.
In premessa va sottolineato che la paziente, anteriormente all’intervento in parola, effettuò una MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), esame fondamentale per la valutazione dello stato di salute delle ossa e per la predizione di eventuali rischi di frattura.
Il risultato del predetto esame depose per una mineralizzazione (fissazione dei minerali nella matrice ossea) considerata nella norma, secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quanto detto implicava dunque l’assenza di patologie della massa ossa.
Pochi mesi dopo aver effettuato l’esame densitometrico, la donna dovette dunque sottoporsi all’intervento chirurgico di protesi totale d’anca sinistra.
Nell’intervento chirurgico di sostituzione totale d’anca, l’osso danneggiato e la cartilagine vengono rimossi e sostituiti con delle componenti artificiali, protesiche. In un accesso standard, l’incisione cutanea, della lunghezza di circa 15-20 cm, viene eseguita in corrispondenza della superficie laterale, o posteriore, dell’anca.
La testa del femore danneggiata viene rimossa e sostituita con uno stelo metallico, inserito nel centro cavo del femore. Lo stelo femorale può essere cementato o “press fit” cioè inserito e bloccato a pressione nell’osso. Una testina in metallo o in ceramica viene assemblata in corrispondenza della parte superiore dello stelo per sostituire la testa del femore rimossa. La superficie cartilaginea dell’acetabolo viene rimossa e sostituita con un alloggiamento metallico. Tra la nuova testa del femore e la componente metallica acetabolare viene inserito un distanziatore, per ricreare una superficie di scorrimento liscia.
Nel verbale operatorio si legge: “Durante l’impianto dello stelo femorale, per la presenza di marcata osteoporosi, si pratica linea di frattura parziale trocanterica che viene stabilizzata con due fili di cerchiaggio metallico”.
Nonostante ciò, va detto che, sulla base degli accertamenti radiografici successivi all’iter clinico, gli elementi protesici risultarono ben posizionati, senza anomala reazione endostale.
Se la protesi, dunque, fu ben collocata, l’intervento venne comunque gravato dalla realizzazione di una “rima di frattura intraoperatoria parziale trocanterica”, stabilizzata con due fili di cerchiaggio metallico in situ.
L’evento indesiderato venne giustificato per la presenza di una “marcata osteoporosi”. Detta argomentazione non appare condivisibile, poiché non vi è prova della condizione osteoporotica della paziente, né risulta suffragata dagli accertamenti strumentali.
Nell’eventualità in cui fosse stata accertata la presenza di una seppur teorica “marcata osteoporosi”, i sanitari avrebbero dovuto prestare un’attenzione maggiore nelle manovre di approccio chirurgico.
Nel caso di specie, dunque, si è ritenuto dovesse ravvisarsi una mancata aderenza alle linee guida, il che provocò certamente un periodo di invalidità temporanea sensibilmente più lungo rispetto a quello solitamente necessario a seguito di trattamento di protesizzazione d’anca, ed una invalidità permanente, da attribuire a malpractice medica, non inferiore al 7% della totale validità biologica.
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