Ripercorriamo la triste storia clinica di un paziente a cui, originariamente e a seguito di intensi dolori al rachide, venne posta diagnosi di “lombalgia” e un esame radiografico evidenziò la riduzione dello spazio L5-S1.
Nei mesi successivi, a causa del perdurare della sintomatologia dolorosa in regione lombo-sacrale “il malcapitato” si recò numerose volte presso la stessa struttura ospedaliera, ove oltre all’ingravescente dolore lombare con deficit della deambulazione, veniva obiettivato un edema in corrispondenza del piede sinistro. Nonostante ciò al paziente venivano prescritti farmaci sempre più forti fino a somministrare derivati della morfina.
Veniva quindi formulata una nuova diagnosi di ernia discale per la quale il paziente veniva sottoposto ad intervento chirurgico di microdiscectomia L5-S1.
Da qui iniziava un lungo ed autentico pellegrinaggio che coinvolgeva varie strutture ospedaliere nelle quali al paziente, che continua a lamentare fortissimi dolori alla gamba sinistra, viene diagnosticata dapprima una sciatalgia sinistra con reazione algodistrofica da imputarsi agli esiti dell’intervento chirurgico di microdiscectomia e, in seguito, evidenziato un edema duro con eritema dell’arto inferiore, ad una presunta sindrome algodistrofica.
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La sindrome algodistrofica o più correttamente detta, sindrome dolorosa regionale complessa, è caratterizzata da manifestazioni cliniche sproporzionate rispetto alla noxa patogena. L’evento scatenante è nella stragrande maggioranza dei casi un evento traumatico, e le sedi maggiormente colpite sono la mano e la spalla nell’arto superiore e il piede ed il ginocchio nell’arto inferiore. Per una corretta diagnosi, oltre ad una anamnesi adeguata e un attento esame obiettivo è richiesta necessariamente l’esecuzione di puntuali ed accurate indagini laboratoristiche e strumentali volte a confermare la diagnosi di algodistrofia o ad escludere altre patologie anche gravi, che rientrano nella diagnostica differenziale tra cui le neoplasie.
Tale protocollo diagnostico, nella fattispecie, venne ampiamente disatteso.
In realtà il progressivo aggravarsi dell’edema all’arto inferiore sinistro, rappresentava un segno inequivocabile del coinvolgimento del sistema linfatico, in particolare di quello linfonodale, dell’arto medesimo: i sanitari che avevano avuto in cura il paziente, negligentemente omettevano di eseguire indagini strumentali come risonanza magnetica (RMN) o TAC dell’arto in toto atte a chiarire il quesito diagnostico.
Solo a distanza di un anno e otto mesi dalla comparsa della sintomatologia dolorosa venne formulata (a seguito di una ecografia alla coscia e di una TAC), la corretta diagnosi di “tumore maligno delle guaine nervose periferiche (MPNST) a partenza dal nervo sciatico”.
Al paziente venne amputato quindi l’arto inferiore sinistro con disarticolazione a livello dell’anca, ma la patologia neoplastica ormai in fase metastatica condusse comunque il soggetto ad un ormai inevitabile decesso.
La corretta diagnosi, ritardata in modo colpevole fu dovuta come in precedenza rammentato, al mancato utilizzo delle comuni metodiche di imaging (RMN in primis), venne formulata quando la neoplasia, ormai in fase metastatica, era passata inosservata dal I stadio al IV stadio della classificazione dei sarcomi, ovvero da una percentuale di sopravvivenza a 5 e 10 anni del 90% a una percentuale del 10%.
Sussiste in maniera evidente chiara ed ineludibile la responsabilità professionale dei sanitari curanti che in completo spregio alla c.d. lege artis perseguivano ostinatamente nella gestione del caso di cui trattasi nel sostenere la diagnosi di sindrome algodistrofica, contro ogni evidenza scientifica, non ponendo in essere i consolidati iter diagnostici che avrebbero previsto, oltre ad un attento esame clinico, l’esecuzione di adeguate indagini strumentali funzionali e di imaging.