Che cos’è l’antibiotico resistenza?
La resistenza batterica agli antibiotici è uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Ogni anno nell’Unione Europea si calcolano circa 4,1 milioni di persone che contraggono un’infezione da germi antibiotico-resistenti, responsabile di numerosi decessi e dispendio di risorse economiche.
Volendola definire, l’antibiotico resistenza è la capacità dei microorganismi di sopravvivere, o anche moltiplicarsi, alla presenza di un antimicrobico in concentrazioni di norma sufficienti a inibirne la crescita o eliminare la maggior parte degli stipiti della stessa specie. L’infezione può essere prodotta da microbi fin dall’origine naturalmente resistenti (la cd. resistenza intrinseca), mentre, in altri casi, ceppi batterici che in precedenza erano sensibili a un particolare antibiotico sviluppano successivamente una resistenza nei suoi confronti.
Infezioni correlate all’assistenza
Questa tipologia di infezioni è spesso correlata all’assistenza sanitaria in ospedale o in strutture assistenziali cd. “long term care units”; difatti, tra le caratteristiche potenzialmente pericolose della flora batterica circolante nelle strutture sanitarie vi è la presenza di batteri e miceti resistenti agli antibiotici. La causa è da ricollegare alla pressione esterna indotta artificialmente dall’elevato uso di antibiotici, alla quale i microorganismi rispondono sviluppando dei meccanismi che permettono loro di sopravvivere nonostante la presenza di antimicrobici.
Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono per definizione quelle infezioni che non sono presenti all’ingresso del paziente nell’ambiente di ricovero o di assistenza e i cui sintomi insorgono circa 48 ore dopo l’ingresso del paziente nella struttura. Infatti, è nelle prime 48-72 ore che il degente viene colonizzato dai germi presenti nell’ambiente ospedaliero attraverso il contatto del paziente nell’ambiente stesso con le strutture, le superfici, gli arredi, come anche il contatto diretto con gli operatori sanitari.
Responsabilità delle strutture di ricovero
Un’importanza notevole la assumono le misure di prevenzione, atteso che molte infezioni correlate all’assistenza sono potenzialmente evitabili attraverso procedure assistenziali conformi ai protocolli e alle linee guida emanate dagli Istituti scientifici responsabili dei programmi di controllo delle infezioni. Comprendere se una determinata infezione sia prevenibile ed evitabile è poi fondamentale ai fini della responsabilità medica della struttura sanitaria, come disciplinata dalla Legge Gelli.
La legge 24/2017 ha distinto la responsabilità contrattuale della struttura di ricovero, pubblica o privata, e quella del sanitario che svolge la sua opera in ambito privatistico, dalla responsabilità extracontrattuale del sanitario dipendente della struttura. Da questa distinzione discende una diversa ripartizione dell’onere probatorio: in caso di responsabilità contrattuale, il paziente/creditore danneggiato dall’inadempimento della struttura sanitaria, si limiterà ad allegare la circostanza dell’inadempimento e sarà la struttura a dover provare di aver adottato la diligenza professionale richiesta; se tale prova non è fornita, la colpa si presume. Mentre, nel caso in cui sia stato il medico dipendente ad aver cagionato il danno, il paziente dovrà provare l’esistenza del danno, il nesso di casualità tra il danno e il comportamento del medico e la prova del dolo o della colpa del danneggiante.
Nel caso delle infezioni correlate all’assistenza, ancorché sia accertata con sicurezza la natura nosocomiale del batterio che ha contagiato il degente e la provenienza dello stesso, è quasi impossibile risalire alla persona del responsabile, individuare il luogo del contagio, lo strumento contaminato o il contatto con gli operatori sanitari e ogni altro genere di contesto produttivo del contagio.
Onere della prova e tutela del paziente danneggiato
“L’anonimità” del danno da ICA non può però ripercuotersi negativamente sulla tutela del danneggiato, ed è per tale motivo, in un’ottica di prevenzione e di incentivazione al miglioramento dei protocolli clinico-assistenziali, che è individuata quale responsabile, in via presunta, la struttura sanitaria. Sarà quest’ultima ad essere onerata della prova liberatoria, consistente nel dimostrare di aver adottato ogni misura idonea, secondo la migliore scienza e tecnica del momento, a prevenire l’infezione contagiata al paziente ricoverato; che l’infezione era imprevedibile, o se prevedibile, era nel caso di specie inevitabile. Si comprende bene come tale prova a carico della struttura di ricovero possa spesso rivelarsi come una probatio diabolica, soprattutto se la giurisprudenza tende a trattare tale responsabilità alla stregua di una responsabilità oggettiva. Infatti, i giudici di merito, hanno spesso condannato la struttura sanitaria sebbene quest’ultima avesse dimostrato di aver adottato ogni buona pratica di igiene, sulla base della mera certezza circa l’origine nosocomiale dell’infezione. Le possibilità di contagio, in relazione ad azioni degli operatori sanitari, luoghi e attrezzi, sono talmente alte che, se da un lato aumenta il grado di certezza della relazione causale tra le infezioni e l’assistenza ospedaliera, dall’altro diminuisce la certezza circa la sussistenza della colpa della struttura che è sempre presunta. Al contrario, stando ai principi sanciti in materia di responsabilità contrattuale, il giudice dovrebbe basare la propria decisione sulla prova fornita dalla struttura di ricovero in ordine al rispetto dei criteri metodologici stabiliti nelle linee guida e diretti all’applicazione e monitoraggio delle pratiche volte ad evitare le infezioni nosocomiali; se questo onere probatorio viene adempiuto, non si potrebbe ritenere sussistente la responsabilità della struttura, se non fondandola sul modello di responsabilità oggettiva.
Senza dubbio, la ratio che spinge la giurisprudenza a configurare la responsabilità per danno da infezione nosocomiale in capo agli ospedali a prescindere dalla prova della colpa, è quella di allocare il rischio di tale danno presso la struttura, non addossandolo, come accadrebbe in alternativa, al paziente danneggiato.