Ernia del disco: un caso di “mala gestio” del paziente

Ernia del disco: un caso di "mala gestio" del paziente

Nella nostra ormai quarantennale attività di consulenza medico legale non di rado veniamo a conoscenza di situazioni nelle quali è realistico ipotizzare una vera e propria “mala gestio” del paziente da parte dello staff sanitario, definendosi per tale la condotta del medico che procuri un danno al degente, sottoponendolo, come nel caso che presentiamo a titolo esemplificativo, a pratiche inadatte alla situazione clinica, spesso nel corso di interventi chirurgici.

La donna che ha chiesto la nostra consulenza, 50enne all’epoca dei fatti, risultava affetta da tempo da lombalgia, con conseguente sintomatologia sciatalgica irradiata all’arto inferiore sinistro e localizzata, nella regione posteriore della coscia e laterale della gamba, al dorso e all’alluce del piede con conseguente difficoltà nella deambulazione e nella flessione dorsale del piede.

La paziente, in cura con terapia farmacologica antinfiammatoria, si sottopose a risonanza magnetica del rachide lombare, che evidenziò la presenza di ernia del disco L4-L5 ad estrinsecazione postero-paramediana laterale sinistra.

Fu quindi posta indicazione ad intervento chirurgico di microdiscectomia L4-L5 sinistra.

L’ernia discale è una sporgenza circoscritta del disco intravertebrale o una fuoriuscita parziale del nucleo polposo fuori dai limiti del disco. Si può sviluppare nella porzione centrale del disco, definendosi in tal caso mediana, nella porzione laterale della faccia posteriore del disco (postero- laterale) o occupare la regione del forame intravertebrale (intraforaminale). L’ernia discale lombare causa la compressione di una o più radici che decorrono nel canale spinale lombare.

I trattamenti chirurgici, in casi consimili, sono indicati qualora il dolore all’arto persista da più di due mesi e vi sia scarsa tendenza alla risoluzione spontanea.

L’intervento di microdiscectomia L4-L5 comportò il posizionamento di protesi interspinosa BacJac 12 mm. Il distanziatore in parola aveva l’obiettivo di limitare l’estensione del rachide lombare, diminuendo la pressione, a livello del disco, delle faccette articolari, ed aumentando la superficie del canale e dei forami di coniugazione dello spazio interessato.

Già nei giorni successivi all’intervento chirurgico, tuttavia, la paziente lamentò algie in sede chirurgica. I mesi successivi furono caratterizzati da persistente lombosciatalgia sinistra, resistente ad ogni terapia, con ipostenia dell’arto inferiore sinistro in corrispondenza della muscolatura estensoria, con ipoestesia della superficie esterna della gamba e del dorso del piede, del secondo e del terzo dito. La deambulazione era possibile, con evidente zoppia sinistra.

Dopo che la TC lombo-sacrale confermò la persistenza dell’ernia discale posteriore paramediana sinistra a livello di L4-L5, con segni di degenerazione vacuolare del disco e grave radicolopatia spondilogena, la paziente venne sottoposta ad un secondo intervento chirurgico di “decompressione posteriore, discectomia e artrodesi L4-L5 con viti Mas e PLif (sistema T-PAL)”. Il decorso post-operatorio fu stavolta regolare e la donna fu dimessa in assenza di lombosciatalgia.

A causare i disagi di cui sopra alla paziente, fu proprio la scelta chirurgica dei sanitari che la ebbero in cura nel corso del primo intervento chirurgico, i quali  posizionarono il distanziatore rigido BacJac.

Tale atto chirurgico, per quanto fosse stato eseguito secondo “lege artis” e con l’intento di ridurre al minimo l’invasività chirurgica, risulta però fortemente controindicato, di norma, in pazienti che avvertono un dolore persistente ed indipendente dalla posizione assunta dalla colonna vertebrale, il che avrebbe dovuto sconsigliare di intervenire limitando l’estensione del rachide con il predetto distanziatore rigido BacJac.

Tale operazione, dunque, non aveva ragion d’essere nei termini in cui venne effettuata.

Dunque, per quanto attiene la valutazione del danno, acclarata la “mala gestio” della paziente, tenuto conto del buon esito del secondo atto chirurgico, può ritenersi congruo un cospicuo periodo di temporanea iatrogena ed un danno permanente residuo dovuto alla stabilizzazione/ingravescenza della compromissione neurogena periferica sinistra pari al 11-12% della totale validità biologica, considerando anche la presenza di robusti mezzi di sintesi metallici che, per la funzione svolta, non potranno essere rimossi.

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